L'edizione 2016

L’edizione 2016 del Praemium Aristophaneum si colloca a valle della “Notte Nazionale del Liceo classico” e precede di poche settimane il convegno “Il Liceo classico del futuro”, che avrà luogo a Milano alla fine del mese di aprile.

Se rispetto al convegno di Milano vi è un clima di attesa per i temi in gioco (innovazione della didattica di tutte le discipline, revisione della seconda prova dell’esame di Stato e implicazioni previste dalla attuazione della Legge 107 sulla “Buona scuola”), la “Notte Nazionale del Liceo Classico” ha dimostrato di quale creatività sappiano dare prova le “teste ben fatte” che popolano i licei italiani: in tempi in cui si levano voci che chiedono di emarginare gli antichi, per esempio a scuola, i liceali hanno rivendicato il diritto di non sentirsi inattuali a conoscere Omero e hanno dimostrato che praticare i versi di Sofocle e Alceo non esclude la possibilità di condividere con i propri coetanei mode, tendenze, desideri e aspirazioni, conoscenze scientifiche, linguistiche ed informatiche; che il liceo classico è una scuola capace di intercettare il nuovo, di sperimentare con inattesa determinazione un sempre più elevato numero di percorsi formativi che integrano il sapere curriculare con esperienze di studio, di ricerca, di stage, di potenziamento linguistico, matematico, scientifico e informatico, di alternanza scuola – lavoro e di cooperazione con le istituzioni del territorio; che lo studio degli antichi costituisce una potente risorsa per comprendere problemi cruciali: il rapporto libertà-dipendenza, la lotta per la cittadinanza, la competenza come requisito della politica, il ruolo del sapere, della scuola e dell'idea di futuro per le nuove generazioni.

Sono, questi ultimi, temi su cui, in chiave diversa, torniamo a riflettere ogni anno, nella giornata di studio che il liceo dedica ad Aristofane, quando i più prestigiosi studiosi italiani ci onorano della loro presenza e offrono, attraverso i loro contributi, un apporto determinante all’innovazione e alla qualità della formazione della nostra scuola, una scuola aperta a tutti, equa e inclusiva, che pone la centralità dell'apprendimento come condizione per riconoscere le diverse attitudini, per favorire creatività, ragionamento ed emozione, per coniugare pensare e fare, affinché ognuno possa partecipare come cittadino autonomo e responsabile a una democrazia più evoluta dentro la dimensione globale della contemporaneità.

In questa cornice studiare, tradurre e commentare i classici ha ancora un senso. La crisi attuale ci appare come il segno della più grave crisi di identità culturale dei nostri tempi, offesi da un approccio speculativo agli studi che, in un’età così formativa per l’identità politica, culturale e sociale di un giovane risulta, a nostro avviso, altamente pericolosa.

Non intendiamo qui richiamare l’anacronistica querelle che oppone studi classici e scientifici, mens e manus, in una gerarchia classista di percorsi che, purtroppo, sappiamo bene essere ancora presente nell’opinione pubblica ed essere causa non ultima, in questi momenti di crisi valoriale, del ritorno ad un approccio utilitaristico per modesti scenari.

Il liceo Aristofane, nel riproporre la sesta edizione del Praemium, intende sollecitare una ‘nuova’ riflessione sulla nostra cultura ‘intera’, sul senso alto della cultura scientifica come di quella classica, sulla necessità di sgombrare il campo da una logica di piccolo cabotaggio che orienta la società a scelte di breve respiro, apparentemente ignara del profilo indispensabile ai giovani di domani: flessibile, aperto e capace di affrontare l’incertezza, capace di “pensare con le mani e lavorare con la testa”: solo una cultura intera, di mens e manus può consentire di tagliare il traguardo di questo obiettivo.

In questa cornice, allora, la crisi degli studi classici ci appare il sintomo evidente di un approccio sbagliato, contro cui vogliamo reagire, anche con un’iniziativa come il Praemium Aristophaneum. Vorremmo insomma che l’opinione pubblica non valutasse i percorsi di scuola superiore in base alla (sedicente) spendibilità del titolo, ma secondo le versatilità e le attitudini dei propri figli e una valenza alta e nobile che noi attribuiamo al famigerato ‘inutile’ e ‘inattuale’ perché il valore della gratuità nello studio – in qualsiasi studio – è garanzia di investimento di lunga durata, questo sì utile e necessario in tempi così veloci, di travolgente evoluzione.

                                                               Silvia Sanseverino

                                                 Dirigente del Liceo Aristofane


Estromesso man mano il sapere storico, dopo aver liquidato con un tratto di penna quello geografico, i cittadini diventano sudditi, non più (o sempre meno) soggetti pensanti. Ovviamente, in questo regno dell’approssimazione e semplificazione demagogica, il primo pezzo da liquidare diventa la conoscenza del mondo antico.

Luciano Canfora, Gli antichi ci riguardano

 


 

V Praemium Aristophaneum, aprile 2014

 

Care amiche e cari amici,

poche parole per condividere il senso dell’iniziativa che ha impegnato il comitato tecnico scientifico del premio e me con grande entusiasmo e non poco dispendio di energie, come immaginerete.

Poche parole per riflettere sul significato che riveste, oggi, in tempi di crisi degli studi umanistici, riproporre un certamen.

I mutamenti e la crisi di questi anni sollecitano una riflessione sul ruolo del sapere, della scuola e dell'idea di futuro per le nuove generazioni. La richiesta della società della conoscenza di competenze e professioni sempre più qualificate e innovative per

tutti, in età scolare e lungo tutto l'arco della vita, muta necessariamente la natura e la ragion d'essere della funzione educativa. La scuola aperta a tutti, equa e inclusiva, pone la centralità dell'apprendimento come condizione per riconoscere le diverse attitudini, per favorire creatività, ragionamento ed emozione, per coniugare pensare e fare, affinché ognuno possa partecipare come cittadino autonomo e responsabile a

una democrazia più evoluta dentro la dimensione globale della contemporaneità. Requisito assoluto la qualità dell'istruzione. Così come è e come è rimasta strutturata finora, la scuola italiana non assolve più il suo compito: un cambiamento radicale è

necessario, urgente, possibile. Né restaurare né conservare ma innovare alla luce dei recenti apporti del pensiero educativo.

In questa cornice, ha dunque ancora senso studiare, tradurre e commentare i classici?

La crisi attuale ci appare come il segno della più grave crisi di identità culturale dei nostri tempi, offesi da un approccio speculativo agli studi che, in un’età così formativa per l’identità politica, culturale e sociale di un giovane risulta, a nostro

avviso, altamente pericolosa.

Non intendiamo qui richiamare l’anacronistica querelle che oppone studi classici e scientifici, mens e manus, in una gerarchia classista di percorsi che, purtroppo,sappiamo bene essere ancora presente nell’opinione pubblica ed essere causa non ultima, in questi momenti di crisi valoriale, del ritorno ad un approccio utilitaristico per modesti scenari.

Noi, nel riproporre la quarta edizione del premio, abbiamo la speranza di sollecitare una ‘nuova’ riflessione sulla nostra cultura ‘intera’, sul senso alto della cultura scientifica come di quella classica, sulla necessità di sgombrare il campo da una

logica di piccolo cabotaggio che orienta la società a scelte di breve respiro, apparentemente ignara del profilo indispensabile ai giovani di domani: flessibile, aperto e capace di affrontare l’incertezza, capace di “pensare con le mani e lavorare con la testa”. Solo una solida cultura può consentire di traguardare questo obiettivo.

In questa cornice allora la crisi degli studi classici ci appare il sintomo evidente di un approccio sbagliato, contro cui vogliamo reagire, anche con un’iniziativa come il Praemium Aristophaneum. Vorremmo insomma che l’opinione pubblica non valutasse

i percorsi di scuola superiore in base alla (sedicente) spendibilità del titolo, ma secondo le versatilità e le attitudini dei propri figli e una valenza alta e nobile che noi attribuiamo al famigerato ‘inutile’ perché il valore della gratuità nello studio – in qualsiasi studio – è garanzia di investimento di lunga durata, questo sì utile e

necessario in tempi così veloci, di travolgente evoluzione.

Silvia Sanseverino

Dirigente del Liceo Aristofane


 

Il liceo va all'università. L'Aristofane organizza una giornata di studio alla Sapienza

 

L'Huffington Post | Pubblicato: 30/04/2014 18:01

http://www.huffingtonpost.it/2014/04/30/aristofane-sapienza-giornata-studio_n_5240594.html?utm_hp_ref=italia-culture

 

Che valore ha oggi la cultura classica? E quale valore può assumere per i contemporanei, in particolare i ragazzi, lo studio, la traduzione e l'approfondimento di un classico modernissimo

come Aristofane? Alla domanda prova a rispondere la IV Giornata di studio su Aristofane,organizzata dal liceo classico e Linguistico Aristofane di Roma e dalla Facolta di Lettere ebFilosofia (dipartimento Scienze dell'Antichità) dell'Università La Sapienza di Roma.

Il convegno, che si svolgerà il 9 maggio presso la Sala Odeion (Museo dell’Arte Classica Polo Museale Sapienza, Università di Roma Piazzale Aldo Moro, 5) non solo approfondirà vari

aspetti dell'opera del grande commediografo greco, ma sarà l'occasione per premiare i vincitori del Praemium Aristophaneum, che viene promosso ogni anno (è giunto alla quarta edizione)

per rafforzare negli studenti, attraverso il confronto con un testo classico, la fiducia nei propri strumenti di analisi ed interpretazione, il gusto dell’approfondimento attraverso l'operazione di traduzione e la riflessione sulla modernità di Aristofane.

Nella giornata del convegno molti saranno gli aspetti dell'opera di Aristofane che saranno presi in esame. Introdotti dalla dirigente del liceo romano Silvia E. Sanseverino e da Roberto Nicolai , preside della Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università di Roma, nonché da Anna Maria Belardinelli della Sapienza, i docenti invitati affronteranno infatti alcuni nodi della vasta opera teatrale del commediografo, fonte di ispirazione per gli autori teatrali fino

all'epoca contemporanea.

Durante la mattinata Michele Napolitano, dell' università degli Studi di Cassino, parlerà de I finali di Aristofane tra trionfo e disincanto mentre Maurizio Sonnino, della Sapienza, si

occuperà di illustrare il tema Recuperare l'umorismo di Aristofane: due battute del prologo della Lisistrata.

Luca Bettarini, sempre della Sapienza, analizzerà invece Aristofane come costruttore di parole: la comicità dei composti plurimembri, e Emidio Spinelli, anche lui dell'ateneo romano, tratterà de Il fantasma di Socrate? Spigolando tra le Nuvole di Aristofane.

Nel pomeriggio si amplierà il focus del dibattito. Quali sfide per la cultura classica? E' il filo conduttore dell'intervento di Antonio Cocozza, coordinatore Osservatorio sulla scuola dell'autonomia LUISS Guido Carli . Si finisce in bellezza con Figli, il laboratorio teatrale del Liceo Aristofane diretto da Gabriele Linari.


 

 

Università La Sapienza e liceo Aristofane, «classica» collaborazione

 

Difendere la classicità e promuovere la scuola. Una sfida che il Liceo Classico e Linguistico «Aristofane», in zona Montesacro, affronta da 4 anni, con una giornata di studio presso La Sapienza, per «difendere» gli studi umanistici e quei classici che in tempo di globalizzazione, cambiamenti, innovazione, sembrano anacronistici. Ed invece è proprio in un momento di grave crisi di identità culturale che il percorso classico (non contrapposto a quello scientifico) può dare ai ragazzi un approccio allo studio più solido, più flessibile e completo, un investimento culturale che mai sarà d’intralcio in qualsiasi scelta professionale, anche super-tecnica. L’istituto, guidato dalla dirigente Silvia Sanseverino, visto lo scarso appeal degli studi classici, anche quest’anno ha organizzato il «Praemium Aristophaneum» puntando sull’attualità di Aristofane, l’autore greco più amato e studiato, con l’obiettivo di rafforzare negli studenti, alle prese con un testo classico, la fiducia nella propria capacità di analisi ed interpretazione, e motivare alla ricerca e al gusto dell’approfondimento che in una traduzione, diventa un’operazione «scientifica», di induzione e deduzione. 

 

15/05/2014 Il Tempo- Cronaca di Roma


 

Il liceo dei perché

 

L’11 e il 12 aprile scorsi si sono tenuti a Roma gli incontri conclusivi del convegno “Classici Dentro”, un’iniziativa promossa da tre licei romani, Giulio Cesare, Virgilio e Visconti, per riflettere sulla crisi di iscrizioni che ha colpito il liceo classico, passato in quattro anni dall’11% al 6% circa e più in generale su un indirizzo di studi che caratterizza profondamente e da oltre novanta anni l’intero sistema scolastico italiano e che, in Europa, è restato sostanzialmente unico. La prima delle due giornate, preceduta da un altro incontro seminariale, svoltosi a marzo e destinato in particolare agli insegnanti, ha assunto un aspetto “spettacolare”, in quanto è stato imbastito un vero e proprio processo al liceo classico, con accusa, difesa e giudici togati, questi ultimi presieduti da Luigi Berlinguer. Il processo si è concluso con un’assoluzione, ma non con formula piena. Al di là dell’efficacia dei singoli interventi e dei molti stereotipi che si sono affacciati nella discussione, si è trattato di un momento utile di disamina e di scambio di idee. Peccato che i decisori delle politiche scolastiche abbiano brillato per la loro assenza, perché, come ha sottolineato Laura Correale, il nodo vero sta proprio nella configurazione da dare all’intero sistema dell’istruzione, di cui il classico è forse diventato una parte tra le più fragili.Le ragioni di questa fragilità stanno nella fisionomia stessa del liceo voluto da Giovanni Gentile, una fisionomia ricompresa in una visione autoritaria e classista, ma comunque organica di scuola e di società, che oggi è affatto scomparsa. E come sempre, non sono mancate le accuse alla “scuola gentiliana” idealistica e nemica del sapere scientifico.Vorrei tuttavia che si riflettesse sulla lezione che quel pensiero sulla scuola ci ha lasciato, senza proporre una sua conservazione idolatrica, ma anche senza condanne aprioristiche. Del resto lo stesso Giovanni Gentile va annoverato tra gli sconfitti. Dai fascisti prima, visto che il suo liceo non è mai loro piaciuto (ricordo che Mussolini dovette imporsi personalmente perché la legge fosse approvata e che la permanenza del Filosofo al Ministero della PI durò appena un anno) e che gli stessi fascisti gli preferirono in seguito il “democratico” Bottai (l’idea di scuola media unica è sua). Dalla tradizione gesuitica poi, la quale, nella pratica didattica corrente e salvo lodevolissime eccezioni, ha finito per imporre una scuola meramente trasmissiva, spesso catechetica, una scuola della grammatica e della retorica (ancora oggi si sente dire che le materie caratterizzanti l’indirizzo sono il greco e il latino), insomma una scuola isocratea più che platonica. Il liceo gentiliano è invece il liceo della storia, nel senso dell’”historia” greca, della ricerca delle cause, un’”historia” che lega a sé tutte o quasi le materie, dall’italiano, all’arte figurativa, alle discipline classiche, alla filosofia, alla storiografia, non già come mero racconto e memorizzazione di vicende e di fatti, ma come continua e “libera” interrogazione sulle vicende umane che discente e docente accendono, in quell’unità tra colui che apprende e colui che insegna in colui che conosce, che resta tra le più belle definizioni di scuola. E’qui la centralità del testo, in tutte le sue accezioni e al di là delle barriere disciplinari, vero laboratorio di scienza e di coscienza. Questa è l’eredità non caduca che il liceo classico gentiliano ci lega, questa è l’eredità che dobbiamo non già rifiutare, ma ricomporre nella nostra modernità. Come? Ricreando una licealità con al suo centro un asse forte, visibile, comunicabile, un asse che potremmo definire “dei perché”, una licealità che, superata la ormai divenuta fittizia barriera tra”scientifico” e “classico” (non è un caso che entrambi gli indirizzi, pur se in misura diversa, siano in crisi), si rifondi su un tronco unitario a più rami e trovi la sua caratteristica non tanto nella presenza o meno di alcune discipline (meglio sempre molto di poco che poco di molto) quanto in un suo baricentro autenticamente “socratico”, che miri a sviluppare il pensiero logico, il pensiero divergente, la creatività, l’inquiry learning. Un liceo che resti “difficile”, ma non perché schiacciato dalla fatica di ingurgitare e memorizzare più pagine di ogni altro tipo di indirizzo, ma perché scuola di libertà e di responsabilità, nella consapevolezza – che va insegnata – che esiste solo la ricerca incessante, esercitata attraverso uno studio serio e rigoroso e non la mera acquisizione di verità già preconfezionate, da usare per superare esami e verifiche e poi da riporre nel cassetto (se non nel secchio della spazzatura). Qui il ruolo degli insegnanti resta fondamentale, proprio perché, abbandonata ogni sicurezza derivante dalla logica meramente trasmissiva del sapere, dovrebbero saper indossare il camice da laboratorio e guidare quella ricerca e crescere assieme agli studenti e creare ogni giorno la scuola, senza tabù e senza schemi precostituiti, senza l’opprimente attuale sistema ad aule chiuse ed eguali le une alle altre, senza la sequenza indifferenziata di ore di lezione che si succedono, le une alle altre, una scuola in cui conoscenze e competenze formino, nella prassi didattica, una polarità inscindibile. Il nuovo liceo, non più classico né scientifico, aperto e costantemente in itinere, continuerebbe a parlare di Omero e di Virgilio (ma anche, finalmente, di Galileo e di Schoenberg), divenendo una vera scuola di cittadinanza, centrata sul dialogo, la relazione, il contesto. Per far questo si potrebbe avvalere, non come meri gadgets, dei formidabili strumenti offerti dalle ICT e dai nuovi media interattivi, che sono naturaliter comunitari e non gerarchici. Sarebbe la più nuova di tutte le scuole e conserverebbe la più autentica tra le eredità della cultura classica, quella cioè dell’apertura verso tutto ciò che è umano (homo sum, humani nihil a me alienum esse puto) e dell’antidogmatismo.

Claudio Salone



Il comico a scuola

 

Il comico a scuola non ha vita facile. Non parlo del vigilatissimo castigat ridendo mores, ma della comicità diretta, tellurica, spesso brutale, ma che sa anche toccare vette assolute di liricità come è quella di Aristofane.Pur inserito stabilmente nel canone degli autori fondamentali di ogni storia della letteratura greca, il Nostro non è tuttavia mai entrato nel novero dei “classici” da portare all’esame finale, alla stessa stregua dei tre grandi drammaturghi ateniesi. Tra le possibili cause di tale esclusione sicuramente il suo linguaggio funambolico, creativo, denso di fantastici neologismi, frequentemente scoptico - e quindi fonte di possibili imbarazzi - e soprattutto difficile da interpretare per la straordinaria libertà sintattica e metrica. Né va trascurata, da questo punto di vista, l’attualità “assoluta” delle sue opere.

Si è soliti dire che i classici sono tali proprio perché sempre attuali, ma nel caso di Aristofane  l’intensa interazione tra la trama e il contesto hic et nunc ha forse finito per ostacolarne una piena fruizione in epoche ormai troppo lontane dall’Atene dell’ultimo quarto del V e del primo del IV secolo a.C. E tutto ciò a dispetto dell’evidente universalità dei temi trattati (la pace, la giustizia, il potere, il valore della cultura e molti altri ancora).Il nostro Istituto, l’unico in Italia a portare il nome di Aristofane, vuole con questo Praemium chiamare  i migliori studenti dei licei classici d’Italia a cimentarsi nella traduzione di un brano tratto dai suoi testi teatrali, proprio per ribadire quanto diceva Quintiliano della Commedia Antica – e segnatamente di Aristofane: “Antiqua comoedia cum sinceram illam sermonis Attici gratiam prope sola retinet, tum facundissimae libertatis, et si est insectandis vitiis precipua, plurimum tamen virium etiam in ceteris partibus habet. Nam et grandis et elegans et venusta, et nescio an nulla, post Homerum tamen, quem, ut Achillem, semper excipi par est, aut similior sit oratoribus aut ad oratores faciendos aptior” (Inst. Or. X, I, 65).                                                                               Claudio Salone


 Aristofane, l'ateniese che parla di noi

Perché un commediografo ateniese del V secolo avanti Cristo dovrebbe interessarci? E perché tutta questa fatica per tradurlo, piegati su un vocabolario di greco antico? Non è solo per il fascino della poesia e del teatro. Il guaio è che alcune delle commedie di Aristofane sono maledettamente attuali, come le Rane, che ci raccontano di un’Atene in decadenza, che ha perso i valori e le capacità democratici, dove la corruzione è un male quotidiano, o come Lisistrata, il primo testo della cultura occidentale che affronti il tema dell’emarginazione femminile. Aristofane parla di noi. E ci ricorda che l’attenzione alla parola classica è attenzione al nostro linguaggio, alla capacità di ragionamento, alla scoperta della propria identità per arrivare al dialogo. Al Premio Aristofaneo proposto dal Liceo Classico e Linguistico “Aristofane” di Roma, prova di eccellenza inserita nell’albo nazionale del Ministero dell’Istruzione e dell’Università, hanno partecipato anche quest’anno gli studenti dei licei classici di tutta Italia. E in occasione della premiazione dei vincitori si è svolta la III Giornata di studio su Aristofane con la partecipazione di specialisti, docenti e studenti, per chiedersi quale funzione possa rivestire oggi la cultura classica. 

“E’ molto importante il percorso di oggi e l’attenzione alla parola classica perché oggi succede che c’è una perdita dell’importanza delle parole dovuta anche alla rapidità dell’utilizzo che certa tecnologia ci impone. Oggi alcune parole diventano sigle, i ch diventano k, e via dicendo. Un’indagine ci dice che i ragazzi degli anni ’70 componevano un tema usando in media 1.300-1.400 parole, qualche anno fa invece lo stesso campione di ragazzi ne usava 800-950. Se con le parole si pensa e si agisce, allora viene fuori un impoverimento della capacità di pensare e di agire”, afferma il prof. G. Lo Storto, vice direttore dell’Università Luiss Guido Carli, che ospita il convegno, aggiungendo che i dati della lettura di libri in Italia sono drammatici.

“Bisogna tener sempre presente lo stretto collegamento tra lettura, traduzione e scrittura. La lettura è la base per arricchire il proprio vocabolario e incontrare il pensiero degli altri. La scrittura è un altro esercizio importante. Ora si scrive di più grazie ai social network per comunicazioni immediate e forse ci si accontenta. Questo non vuol dire tuttavia costruire il proprio pensiero. La scrittura è una sorta di propaggine, di prolungamento del nostro pensiero”, dice la dott.ssa Palumbo, direttore generale degli Ordinamenti scolastici e dell’Autonomia del ministero dell’Istruzione e Università, rivolgendosi agli studenti. “All’Università incontrerete linguaggi specialistici e se non avete consolidato al liceo un uso rigoroso della lingua italiana è difficilissimo affrontare i primi anni, e questo è anche uno dei motivi dell’alta dispersione all’Università. La traduzione, terzo elemento importantissimo, vi obbliga a ‘vivisezionare’ il testo, vi costringe a capire la struttura profonda del testo, la sintassi, la punteggiatura, che a volte permette di intuire il significato di un determinato passo”.

“E’ necessario stringere legami tra scuola e università anche per indagare come mai nella filiera classica, nella scuola superiore, si è perso oltre il 4% di iscrizioni in 4 anni. Unico in Europa, questo modello che ha portato straordinari effetti culturali, rischia di diventare ininfluente e marginale. Bisogna ricostituire quel raccordo con l’Università che si è perso, per mettere in campo azioni comuni”, dice il preside del Liceo Aristofane, Claudio Silone.

 “A che cosa può servire la cultura classica? Rispondo dicendo che l’avvenire è di chi saprà meglio usare il ragionamento in un futuro dominato dal software più che dall’hardware”, sottolinea il prof. Antonio Cocozza, Coordinatore Osservatorio sulla scuola dell’autonomia Luiss Guido Carli.

Il prof. Maurizio Sonnino della Sapienza di Roma ha guidato i presenti nella scoperta di un Aristofane perduto, quello di Michel’Angelo Giacomelli, che tra ‘600 e ‘700, unico tra i contemporanei, traduce quattro delle opere del commediografo greco, non accettato a quel tempo a causa del suo umorismo forte, a volte triviale, che si preferiva passare sotto silenzio. Un racconto affascinante quello dello studioso della Sapienza, a cui si deve il ritrovamento del manoscritto mai pubblicato del Giacomelli nella biblioteca di Toledo, in Spagna. Di un Aristofane che ritorna nel ’900 con una nuova attenzione al riso e al comico, è quello di cui ci racconta invece il prof. Giovanni Greco dell’Università La Sapienza. Sorprendente, inoltre, la Lisistrata messa in scena negli anni ’60 e ’70 da Tony Harrison, prima ambientata in Nigeria, e poi rivista per rappresentare la protesta pacifista di decine di migliaia di donne in Gran Bretagna negli anni ’80 intorno alla base di Common, a sud-ovest di Londra, che custodiva testate nucleari.

                                  Bianca Biancastri


 

Quali sfide per la cultura classica?

 

Antonio Cocozza

Università degli Studi Roma Tre – Università LUISS Guido Carli

 

In un recente libro di Nussbaum dal significativo titolo Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica 1, si sostiene che molti Paesi alle prese con la crisi

economica, attraverso le politiche di spending reviews impongono pesanti tagli agli studi umanistici ed artistici a favore dello sviluppo di abilità tecniche e conoscenze pratico-scientifiche.

Una decisione non errata del tutto, ma che potremmo definire particolarmente “miope”, poiché in questo modo mentre il mondo diventa sempre più complesso, interdipendente e globalizzato, gli

strumenti per analizzarlo e comprenderlo, nell’accezione weberiana, si fanno più poveri e rudimentali, senza una significativa capacità speculativa. Allo stesso modo, mentre l’innovazione richiede intelligenze flessibili, aperte e creative, l’istruzione tende a ripiegarsi su poche nozioni, talvolta stereotipate, che non generano l’acquisizione di senso critico. L’autrice precisa che non si tratta di difendere una presunta superiorità della cultura classica su quella scientifica, bensì di

mantenere l’accesso a una conoscenza che nutra la libertà di pensiero e di parola, la capacità di maturare un’autonomia di giudizio, acquisire la forza dell’immaginazione, come altrettante

precondizioni per una umanità matura e responsabile.

Se è vero che senza istruzione non c’è progresso, la cultura umanistica è il vero strumento in grado di promuovere in ogni persona la capacità di autoesaminarsi e di riflettere su se stessa, a beneficio di una “cultura pubblica deliberativa più riflessiva” che, come sostiene la Nussbaum, rende critici e meno vulnerabili di fronte agli altri, all’autorità e alla pervasività delle tendenze. Non a caso l’autrice precisa che “solo la cultura umanistica educa una democrazia”, la cui essenza politicamente critica rischia di essere schiacciata dalla logica economica del profitto secondo cui il

benessere di un paese si misura sulla base di criteri esclusivamente economico-numerici2. La maggior parte delle nazioni inseriscono i propri giovani all’interno di un contesto scolastico strutturato verso il successo puramente materialistico, piuttosto che su piani più lungimiranti che educhino ciascun cittadino alla conoscenza adeguata della storia del mondo, alla responsabilità etica, politica e morale.

Una posizione condivisa da Eco 3, quando sostiene che il futuro sarà sempre più dominato dal “software” a scapito dello “hardware”, ovvero dalla elaborazione di programmi più che dalla

produzione di oggetti che ne consentono l’applicazione. Per questa ragione, anche nel mondo dell’innovazione tecnologica, l’avvenire dei nuovi lavori è di chi sappia ragionare in modo astratto

e sia in grado di sistematizzare concetti e problematizzare eventi, allo scopo di inventare programmi e trovare soluzione a problemi che nell’economia della flessibilità e della rete sorgono in modo repentino e inatteso.

A questa sfida è chiamata a contribuire anche la cultura classica italiana che secondo De Mauro 4,per rispondere adeguatamente, dovrebbe effettuare un vero e proprio salto di qualità, in quanto da

un lato le classi dirigenti dimostrano scarsa attenzione (le politiche scolastiche e formative e i tassi nazionali di alfabetizzazione ne sono una testimonianza diretta), dall’altro, la società dei letterati,

autorevole dal punto di vista del suo prestigio sociale, è sempre stata autoreferenziale e non colma la notevole distanza che la separa dal paese reale.

A questo proposito, occorre riconoscere che proprio sul piano dell’apporto dell’innovazione tecnologica, sulla crescente importanza delle metodologie didattiche interattive e sul ruolo

formativo del Learning by doing, la cultura classica e il sistema dei licei italiani debbono fare i conti e aggiornare la loro capacità di comprendere e guidare i fenomeni innovativi, che caratterizzano

l’attuale e futura knowledge society.

Infatti, come è stato messo in evidenza in un recente saggio sul Sistema scuola 5, in merito al ruolo e allo scarso grado di pervasività nell’ uso delle tecnologie, in Italia non si è ancora affermata un’efficace integrazione delle Information and Communication Technology (ICT) nei processi di insegnamento e apprendimento, poiché esse risultano essere ancora relegate nei laboratori di informatica o a pratiche professionali decisamente tradizionali. La maggioranza dei docenti italiani, a parte alcune lodevoli esperienze pilota che stanno sperimentando nuove metodologie nelle classi 2.0, sembra che non abbia ancora compreso pienamente le opportunità e le potenzialità insite nelle nuove tecnologie, soprattutto sul piano della

didattica, alimentando quel rischio che vede i ragazzi non comprendere perché la loro frequentazione con l’uso delle tecnologie informatiche sia da circoscrivere alle attività extra

scolastiche, lontane dai processi di apprendimento formale. Su questo piano, le esperienze internazionali maturate in altri sistemi scolastici suggeriscono, invece, che l’integrazione delle ICT

nella pratica e nella vita scolastica, benché non risolutiva di tutti i mali della scuola, appare in gran lunga una best practice utile per favorire l’insegnamento personalizzato e una buona socializzazione

a un comportamento orientato a una logica di lifelong learning, in linea con la strategia Europa 2020.

Infatti, a proposito dell’influenza sempre più netta delle ICT sul sistema educativo, come chiariscono diverse ricerche 6, è necessario elaborare una diversa strategia di insegnamento/apprendimento e di conduzione delle stesse lezioni in classe, poiché l’interazione tra media digitali (ebook) e la comunicazione interattiva (smartphone, iPad,Tablet, PC), che

rappresentano i fenomeni più eclatanti del mutamento sociale e dell’industria culturale all’inizio di questo millennio, stanno rivoluzionando il mondo della lettura e dello studio. I nuovi media mettono in crisi il regno della carta stampata gutenberghiana e fanno emergere una nuova cultura digitale che si afferma attraverso uno stile comunicativo orientato all’interazione attiva, all’autonoma produzione di contenuti e all’elaborazione in team (Dropbox) e alla condivisione(blog e social networks).

Sulla portata di questi cambiamenti nell’ambito dei processi educativi, come suggerisce Ferri nel suo volume Nativi digitali7 è necessario cominciare a prendere in esame la generazione di coloro che oggi hanno un’età intorno ai sei anni, identificabili come generazione digitale, che hanno vissuto e vivono un percorso di apprendimento che li porta cronologicamente prima a confrontarsi

con gli schermi, a interagire con adulti di riferimento che utilizzano il computer e navigano su Internet. Questi studenti digitali, che sono dotati precocemente di smartphone e Tablet, quando

iniziano ad andare a scuola incontrano una modalità di socializzazione e di apprendimento molto

diversa, lontana dal loro sapere tecnologico sempre più pratico e dalla loro cultura di autoapprendimento.

In questa direzione, come si rileva in un recente saggio sulla pervasività dell’innovazione tecnologica e sull’evoluzione dei modelli e delle culture organizzative8, di fronte ai notevoli e

frequenti mutamenti che attraversano e scuotono le nostre società, la cultura classica svolge una funzione imprescindibile nella capacità di “apprendere ad apprendere”, di ragionare in modo

speculativo e di costruire un adeguato senso critico. Per questa ragione l’approccio umanistico

potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nello sviluppo di una nuova cultura della qualità del lavoro, verso una prospettiva che affronti il vero cuore strategico del superamento del pensiero neo-Taylor-fordista, che risiede nella totale e incondizionata separazione tra l’attività di chi deve “pensare, controllare e dirigere” e chi invece deve solo “eseguire” compiti elementari predefiniti ed estremamente parcellizzati.

In definitiva, è necessario promuovere e sostenere la cultura classica, in una prospettiva di dialogo e ricomposizione dei saperi, finalizzata a contribuire a formare, come suggerisce Morin9, “una testa ben fatta”, a favore della conquista di sempre maggiori gradi di libertà e di partecipazione responsabile e consapevole alla vita sociale, culturale e professionale della comunità.

1 Nussbaum M., Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Il Mulino, Bologna,

2013.

2 Nussbaum M., Creare capacità. Liberarsi dalla dittatura del Pil, Il Mulino, Bologna, 2012.

3 Eco U., “Il classico? La scelta migliore”, L’Espresso, 30 novembre, 2011, http://espresso.repubblica.it/dettaglio/ilclassico-la-scelta-migliore/2167159/18

4 De Mauro T., La cultura degli italiani, Laterza, Bari, 2010.

5 Cocozza A., Il Sistema scuola. Autonomia, sviluppo e responsabilità nel lifewide learning, Franco Angeli, Milano,

2012.

6 Butler A. Media Education Goes to School: Young People Make Meaning of Media and Urban Education, Peter Lang

Publishing, New York, 2010; Jenkins H., Ferri P., Marinelli A., a cura di, Culture partecipative e competenze digitali.

 Media education per il XXI secolo, Guerini e Associati, Milano, 2010.

7 Ferri P., Nativi digitali, Bruno Mondadori, Milano, 2011.

8Cocozza A., Organizzazioni. Culture, modelli, governance, Franco Angeli, Milano, 2014.

9 Morin E., La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina, Milano, 2000;

Morin E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano, 2001.